TUTTO SUL TESTAMENTO
- Vietati i testamenti congiuntivi e i passi successori
- Che cosa è il patto di famiglia?
- Queste persone non possono fare testamento
- Queste persone non possono ricevere per testamento
- Forme di testamento ordinario
- L'invalidità dei testamenti per atto di notaio
- L'impugnazione del testamento
- Il testamento internazionale
- Pubblicazione e comunicazione del testamento
- La sostituzione testamentaria
- L'interpretazione del testamento
- L'apposizione dei sigilli e l'inventario
- Il rendiconto - La rappresentanza processuale
Come fare testamento TORNA ALL'INDICE
Il testamento è definito dall’art. 587 del codice civile come l’atto col quale una persona dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte o di parte delle proprie sostanze; infatti, contrariamente a quanto previsto dal diritto romano (nel quale trovava applicazione il principio nemo pro parte testatus pro parte intestatus decedere potest, ossia nessuno può morire avendo fatto testamento soltanto per una parte dei propri beni, per cui se il testamento prevedeva un solo erede, e per una parte dei beni, questi ereditava l’intero patrimonio), il nostro ordinamento prevede che si possa disporre, attraverso questo atto di ultima volontà, soltanto di una parte del patrimonio, lasciando alla successione legittima la destinazione dei beni non compresi nel testamento.
L’esistenza o meno di un patrimonio nella disponibilità del de cuius (dall’espressione latina de cuius ereditate agitur, ossia colui della cui eredità si tratta) non incide sulla validità del testamento, poiché questa condizione non è prescritta da alcuna norma di legge; peraltro, di tale patrimonio possono far parte non solo i beni che appartengono al testatore al momento della morte, ma anche l’eventuale diritto di veder riconosciuta la proprietà su beni che apparentemente appartengono ad altri; nel qual caso l’erede istituito è legittimato a proporre tutte le azioni che avrebbe potuto iniziare il suo dante causa per conseguire la proprietà contestata, nonché a coltivare tutte le azioni che quest’ultimo aveva già proposto (Cassazione 19/3/2001, n. 3939).
Non è detto poi che il testamento abbia sempre, in tutto o in parte, contenuto patrimoniale; esso, infatti, può avere contenuti di altro tipo: si pensi al riconoscimento di un figlio naturale, alla riabilitazione di un indegno, alla formulazione di princìpi morali (cosiddetto testamento spirituale). S’inquadra in questo ambito il testamento biologico (living will secondo la terminologia del diritto statunitense, dal quale è stato mutuato), attualmente allo studio del legislatore, che è quello contenente le disposizioni del testatore sull’attuazione o meno dell’accanimento terapeutico qualora dovesse perdere conoscenza a causa di un male incurabile; esso dev’essere controfirmato da un medico e ha una scadenza prefissata, rinnovabile.
Sempre in questa ottica rientrano lo ius eligendi sepulcrum e le disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri.
Lo ius eligendi sepulcrum è il diritto, riconosciuto alla persona, di scegliere le modalità e il luogo della propria sepoltura. La volontà può essere espressa sia in modo formale (appunto attraverso il testamento, giovandosi della possibilità offerta da secondo comma art. 587 c.c.), sia in modo informale: per esempio conferendo mandato a un prossimo congiunto (cosiddetto mandato post mortem exequendum, ossia da eseguire dopo la morte del mandante), come previsto da Cass. 23/5/2006, n. 12143.
Quanto alle disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri, esse non hanno effetto se i familiari presentano una dichiarazione autografa del defunto contraria alla cremazione, fatta in data successiva a quella della disposizione testamentaria (art. 3 L. 30/3/2001, n. 130).
Il testamento è un atto strettamente personale, nel senso che non ammette quel diffuso istituto giuridico che è la rappresentanza: non si può, quindi, delegarne i contenuti ad altra persona. E’, inoltre, solenne, poiché dev’essere redatto seguendo le forme rigorosamente stabilite dalla legge, diverse, come vedremo, a seconda del tipo di testamento. Infine è revocabile, dal momento che il de cuius può, fino all’ultimo, annullare in tutto o in parte le disposizioni contenute in un precedente testamento, parlandosi rispettivamente di revoca totale e di revoca parziale.
La revoca del testamento può inoltre essere espressa (ossia manifestata con apposita dichiarazione del testatore contenuta in un nuovo testamento o in un atto ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, art. 680 c.c.) e tacita, vale a dire tradotta in atti incompatibili con una precedente disposizione testamentaria, atti che la legge indica nel testamento posteriore (art. 682 c.c.), nella distruzione del testamento olografo (art. 684 c.c.), nel ritiro del testamento segreto olografico (art. 684 c.c.), nel ritiro del testamento segreto (art. 685 c.c.) e nell’alienazione o nella trasformazione della cosa legata (art. 686 c.c.); quest’ultima forma di revoca tacita del testamento si riferisce, però, alle sole disposizioni a titolo particolare e non a quelle a titolo universale, che non sono assoggettabili a revoca con tale mezzo (Cass. 26/11/1987, n. 8780). Se il de cuius aveva redatto il testamento in duplice copia, il fatto che ne abbia distrutta una non equivale a revoca del testamento (Cass. 28/12/2009, n. 27395). L’alienazione della cosa legata posta in essere dal testatore in stato d’incapacità naturale non comporta revoca del legato (App. Catanzaro 5/7/1986); legato che non si considera revocato tacitamente per incompatibilità col testamento posteriore neppure nel caso in cui il testatore, avendo disposto dei propri beni a favore dei suoi cugini, nominandoli eredi universali in parti uguali, abbia, con precedente testamento, attribuito un legato a favore di un terzo (Trib. Aosta 2/6/1980).
Il citato art. 684 c.c. precisa che il testamento olografo distrutto, lacerato o cancellato, in tutto o in parte, si considera revocato in tutto o in parte, a meno che non si provi che fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore, o che il testatore non ebbe l’intenzione di revocarlo.
Sempre in fatto di revoca tacita, segnatamente con riferimento al caso in cui fra le disposizioni contenute nel testamento successivo e quelle ospitate nel testamento precedente vi sia incompatibilità, questa (Cass. 2/11/1983, n. 6745) può essere oggettiva o intenzionale. Sussiste incompatibilità oggettiva quando, indipendentemente da un intento di revoca, sia materialmente impossibile dare contemporanea esecuzione alle disposizioni contenute nel testamento precedente ed a quelle contenute nel testamento successivo; si ha invece incompatibilità intenzionale quando, esclusa tale materiale inconciliabilità di disposizioni, dal contenuto del testamento successivo è dato ragionevolmente desumere che la volontà del testatore è nel senso di revocare, in tutto o in parte, il testamento precedente, e dal raffronto del complesso delle disposizioni o di singole disposizioni contenute nei due atti è dato risalire ad un atteggiamento della volontà del de cuius incompatibile con quello che risultava dal precedente testamento.
In particolare, il testamento posteriore che non revochi in modo espresso quelli eventualmente redatti in precedenza annulla, di questi, soltanto le disposizioni che siano con esso incompatibili (Cass. 20/8/2002, n. 12285); pertanto, se si vuole annullare completamente un precedente testamento, questa volontà dev’essere indicata nel testamento successivo in modo chiaro, inequivocabile. Se invece il testamento olografo, che revoca altro testamento olografo, viene poi revocato, riacquista valore ed efficacia il testamento originario (Cass. 7/2/1993, n. 3196).
Qualora, poi, la revoca del testamento sia inserita in un testamento posteriore contenente anche disposizioni attributive, non è sufficiente la successiva, generica revoca di quest’ultimo affinché possa ritenersi revocata anche la revoca in esso contenuta, essendo dubbio, in tal caso, se l’intenzione del revocante sia stata quella di rimanere intestato oppure quella di far rivivere le primitive disposizioni; si deve quindi accertare, attraverso una rigorosa interpretazione delle espressioni usate nell’atto, senza il sussidio di elementi estrinseci, se la dichiarazione di revoca del testamento investa espressamente, o meno, anche la clausola revocatoria in esso racchiusa, con l’avvertimento che, nel dubbio, deve propendersi per la soluzione negativa e ritenersi inapplicabile il disposto dell’art. 681 c.c. (Cass. 3/5/1997, n. 3875), il quale dispone che la revoca totale o parziale di un testamento può essere a sua volta revocata, col risultato di far rivivere le disposizioni revocate. Il rinvenimento del testamento tra le carte di rifiuto non è motivo per dedurne la sua intervenuta revoca (Tribunale di Viterbo 14/4/1987).
In due casi il testamento (ma lo stesso dicasi del legato) è revocato di diritto (art. 687 c.c.): quando le disposizioni provengano da chi, al tempo del testamento, non aveva o ignorava di avere figli o discendenti, e si accerta l’esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente legittimo del testatore, anche se postumo, legittimato o adottivo, oppure viene riconosciuto un figlio naturale (questa regola non si applica se il testatore aveva previsto, e disposto di conseguenza, questa situazione). Ai fini della revoca di diritto delle disposizioni testamentarie, la dichiarazione giudiziale di paternità, ha precisato la Cassazione con sentenza n. 1935 del 9/3/1996, va equiparata al riconoscimento volontario del figlio naturale.
Vietati i testamenti congiuntivi e i patti successori TORNA ALL'INDICE
La legge (art. 589 c.c.), allo scopo di lasciare al de cuius la più ampia libertà nel disporre delle proprie sostanze, vieta che due o più persone possano fare testamento nello stesso atto (testamento congiuntivo), che possano istituirsi reciprocamente erede nello stesso atto (testamento reciproco), o che possano istituire erede un terzo nello stesso atto.
…E i patti successori
Pure vietati sono, fatto salvo quanto previsto per il patto di famiglia (si veda il riquadro qui sotto), quelli che vengono tecnicamente indicati come patti successori (correntemente si parla di successione per contratto); sarebbe quindi nulla (art. 458 c.c.) sia la convenzione con la quale taluno disponesse della propria successione, sia la convenzione con la quale taluno disponesse dei diritti che possono derivargli da una successione non ancora aperta, sia, infine, la convenzione con la quale taluno rinunciasse ai diritti che potrebbero derivargli da una successione non ancora aperta. In questo ambito configura patto successorio, ed in quanto tale è vietato, anche l’atto col quale due persone acquistino in comune un immobile, pattuendo contestualmente che la quota ideale di proprietà debba successivamente pervenire a chi di esse sopravviverà; questa, infatti, acquista l’altra quota non dall’originario venditore che l’aveva già alienata al soggetto premorto, ma direttamente da questo, al di fuori delle prescritte forme della successione mortis causa (Cass. 18/8/1986, n. 5079).
Il fatto, poi, che le disposizioni siano contenute in due distinti atti, non esclude l’esistenza del patto successorio; infatti, quando due persone dispongano l’una a favore dell’altra con due distinti testamenti, di pari data e di identico contenuto, deve ritenersi che esse si siano reciprocamente influenzate e che, sebbene i testamenti siano distinti, le loro volontà siano in sostanza racchiuse in unico atto, in violazione degli artt. 589 e 458 c.c. (Trib. Milano, 2/11/1998): come nel caso deciso da Cass. 27/4/1982, n. 2623, che ha ravvisato un patto successorio in due distinte schede testamentarie, con le quali due genitori aveva lasciato i propri beni ciascuno a uno dei due figli. Nulla per violazione del divieto di patti successori anche la donazione in sostituzione di legittima (Trib. Cagliari, 13/1/1998).
La Cassazione (sentenza n. 8335 del 17/8/1990) ha considerato patto successorio anche il contratto col quale una parte aveva depositato presso un’altra una somma di denaro, attribuendo a un terzo, che aveva preso parte all’atto, il diritto di pretenderne la restituzione dopo la sua morte, poiché questa fattispecie aveva dato luogo a una complessa convenzione, costituita da un deposito irregolare e da una vietata donazione mortis causa. Il negozio col quale un soggetto dispone, in vita, di un proprio diritto (nel caso di specie il godimento, qualificato nell’atto come comodato, di un appartamento), attribuendolo unilateralmente ad altro soggetto, con effetti decorrenti dalla propria morte, concreta una disposizione mortis causa ed è valido solo se perfezionato con l’osservanza dei requisiti di forma previsti dalla legge; se l’attribuzione è invece frutto di un accordo, il negozio rientra nella categoria dei patti successori ed è nullo a norma dell’art. 458 c.c. (nel caso di specie il negozio è stato ritenuto nullo in quanto il documento contenente la disposizione unilaterale non aveva la forma prescritta per i testamenti olografi, Cass. 24/4/1987, n. 4053).
Che cosa è il patto di famiglia? TORNA ALL'INDICE
Il patto di famiglia (art. 768-bis c.c.) è il contratto col quale, compatibilmente con le disposizioni in materia d’impresa familiare, e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, a uno o più discendenti.
Il contratto, al quale devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore, dev’essere concluso per atto pubblico pena nullità. Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie devono liquidare agli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinuncino in tutto o in parte, una somma corrispondente al valore delle quote di legittima; i contraenti possono convenire che la liquidazione avvenga, in tutto o in parte, in natura.
I beni assegnati con lo stesso contratto agli altri partecipanti non assegnatari dell’azienda, secondo il valore attribuito in contratto, sono imputati alle quote di legittima loro spettanti. Quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione. All’apertura della successione dell’imprenditore, il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma di cui sopra, aumentata degli interessi legali. Particolari disposizioni regolano la modifica e lo scioglimento del patto, e le controversie ad esso inerenti.
Queste persone non possono fare testamento
Non tutti possono fare testamento; vi sono infatti dei soggetti ai quali la legge non riconosce la cosiddetta capacità di testare, appunto la capacità di disporre per testamento. In particolare, non possono fare testamento (art. 591 c.c.):
- coloro che non hanno compiuto la maggiore età, fissata com’è noto in 18 anni;
- gli interdetti per infermità di mente, vale a dire le persone riconosciute dal Tribunale in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi. Quando si tratti di malattia che influisce sulla psiche permanentemente ed abitualmente, in modo che non siano ipotizzabili periodi di lucido intervallo (nella specie: idiotismo congenito), ben può il giudice, dall’accertamento di una tale malattia in data posteriore alla redazione del testamento, ricavare la presunzione d’incapacità del disponente anche nel momento del compimento dell’atto (Cass. 30/1/1987, n. 892). Se poi dalle perizie mediche risulta che il testatore era affetto da una deficienza psichica solo intermittente, è a carico di chi impugna il testamento l’onere di provare che esso fu redatto in un momento d’incapacità (Cass. 13/11/1991, n. 12113). Se invece il testatore risultava affetto da incapacità totale e permanente, è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo (Cass. 24/10/1998, n. 10571). La circostanza, infine, che il testatore, successivamente alla redazione del proprio testamento, sia stato dichiarato interdetto, non giustifica la conclusione che esso fosse incapace d’intendere e di volere al momento della compilazione della scheda testamentaria (Cass. 19/11/2004, n. 21904).
- coloro che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci d’intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento: si pensi agli effetti di una droga o di un’abbondante libagione; si parla a riguardo di incapacità naturale, condizione che non s’identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volontà, ma richiede che, a causa dell’infermità, al momento della redazione del testamento il soggetto fosse assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualità, legittimano la pronuncia di interdizione. (Cass. 30/1/2003, n. 1444.).
L’incapacità naturale in capo alla persona cui si riferisce il testamento dev’essere provata da chi ha interesse ad impugnare il testamento medesimo (Cass. 6/12/2001, n. 15480). In precedenza la stessa Cassazione (sentenza del 29/7/1981, n. 4856) aveva precisato che, in relazione all’art. 591, n. 3, c.c., si deve ritenere che, quando chi impugna il testamento ha fornito la prova di un’infermità mentale tipica, permanente o abituale, e insuscettibile di alcun miglioramento, sta a carico di chi afferma la validità del testamento provare che la sua compilazione è avvenuta in un momento di lucido intervallo, poiché in tal caso la normalità presunta è l’incapacità; quando, invece, si tratti di malattia mentale a carattere intermittente o ricorrente, la quale nei periodi d’intervallo (che non possono considerarsi come equivalenti ai periodi di lucido intervallo nelle infermità abituali o permanenti) consente la reintegrazione del soggetto nella normalità della sua capacità intellettiva e volitiva, non è consentito all’interprete affermare l’incapacità del testatore sulla base dell’accertamento che questi, in tempo anteriore o posteriore alla data del testamento, si sia trovato in stato d’infermità mentale, dovendo in tal caso l’indagine del magistrato precipuamente rivolgersi ad accertare le condizioni mentali del testatore nel momento in cui redasse il testamento.
Il Tribunale di Terni, con sentenza del 10/4/1996, ha stabilito che non può essere annullato per incapacità naturale del testatore un testamento olografo nel quale, pur essendo evidenti, secondo i periti calligrafi, tracce di stanchezza fisica e psichica del redattore, emergevano una costante leggibilità e coerenza del pensiero ed una grafia caratterizzata da “tratti di ritiro a perfezionamento di lettere e cifre incomplete”.
Per il Tribunale di Napoli (sentenza del 16/3/2001) la demenza arteriosclerotica sopravvenuta, la presenza di ripetuti vuoti di memoria antecedenti alla stesura del testamento, la ricetta di un medico curante successiva alla redazione dell’atto contenente la dicitura “T.I.A. (Transient Ischaemic Attack, attacco ischemico cerebrale”), l’attribuzione dell’asse ereditario senza alcuna motivazione di gratitudine o di affetto, l’omissione di alcuni cespiti di rilevante valore economico e, infine, il mancato rispetto, da parte del disponente, dei criteri della delazione legittima - i quali si fondano sul valore dei vincoli familiari - sono elementi sufficienti per presumere l’incapacità d’intendere o di volere del de cuius al momento della testamenti factio.
In tutti i suddetti casi il testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse.
Queste persone non possono ricevere per testamento
Gli artt. 596 e segg. c.c. prevedono una serie di casi in cui, per i particolari rapporti intercorrenti fra il testatore e determinate persone, queste non sono ammesse a ricevere per testamento. In particolare, sono nulle:
- le disposizioni testamentarie della persona sottoposta a tutela in favore del tutore, se fatte dopo la nomina di questo e prima che sia approvato il conto o sia estinta l’azione per il rendimento del conto medesimo, anche se il testatore sia morto dopo l’approvazione;
- le disposizioni testamentarie fatte come sopra in favore del protutore, se il testamento è fatto nel periodo in cui egli sostituiva il tutore.
Questi divieti ammettono però un’eccezione; sono infatti valide le disposizioni fatte in favore del tutore o del protutore che sia ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore.
Sono altresì nulle le disposizioni testamentarie che riguardino taluno di questi soggetti:
- il notaio o altro ufficiale (per es. capitano di nave o di aeromobile) che ha ricevuto il testamento pubblico;
- i testimoni o l’interprete intervenuti nel testamento pubblico;
- la persona che ha scritto il testamento segreto, salvo che le disposizioni siano state approvate di mano dello stesso testatore o nell’atto della consegna al notaio;
- il notaio cui il testamento segreto sia stato consegnato in plico non sigillato.
Forme di testamento ordinario TORNA ALL'INDICE
La legge, allo scopo di coniugare il formalismo che caratterizza il testamento con l’esigenza di consentire il ricorso a questo atto di ultima volontà anche in situazioni nelle quali non sia possibile seguire le richieste formalità, prevede, in aggiunta a tre forme di testamento ordinario (vale a dire olografo, pubblico e segreto), varie forma di testamento speciale, di cui è possibile giovarsi in presenza delle condizioni che avremo modo di vedere. Cominciamo però dai testamenti ordinari, e precisamente da quello più semplice e affatto dispendioso: il testamento olografo.
Il testamento olografo TORNA ALL'INDICE
Il testamento olografo (olografo è parola greca che significa scritto interamente, sottinteso: di propria mano dal testatore) è (art. 602 c.c.) quello che viene scritto direttamente e integralmente dal testatore, non importa se a matita o a penna, se su carta o su altro supporto. Ai fini dell’olografia non sono richiesti la regolarità e la leggibilità della scrittura, l’importante essendo che il testo autografo sia decifrabile, in modo da poter essere accertare la volontà del testatore (Cass. 28/10/1994, n. 8899). Il requisito dell’abitualità della scrittura risulta soddisfatto allorquando sia accertato l’utilizzo, da parte del testatore, oltre che del consueto carattere corsivo, anche di quello stampatello (nella specie si è accertato che il testatore, sebbene fosse solito scrivere in corsivo, usava talvolta il carattere stampatello, Corte d’Appello di Torino 19/12/2000).
E’ bene sottolineare che, se il testo risulta, anche parzialmente, redatto da persona diversa dal testatore, che magari ha collaborato con questi guidandone l’incerta mano per sopperire alla carenza d’istruzione o allo stato di salute, l’atto è nullo (Cass. 10/7/1991, n. 7636), essendo irrilevante l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda testamentaria alla reale volontà del testatore (Cass. 17/3/1993, n. 3163). Lo stesso dicasi del testamento che contenga ripassi, correzioni e cancellature dovuti al fatto che il testatore, gravemente malato alle articolazioni, si sia fatto guidare la mano da qualcuno, anche se queste alterazioni non eliminano la riferibilità al de cuius del documento (Trib. Perugia 10/2/1998). Testamento nullo per difetto di olografia anche se nella dichiarazione di ultima volontà vi è una sola parola di mano altrui, che risulti scritta durante la stesura del testamento, ancorché su incarico o con il consenso del testatore (Cass. 5/8/2002, n. 11733).
Il requisito dell’olografia è invece rispettato quando la disposizione di ultima volontà sia stata interamente scritta di pugno dal testatore e da lui sottoscritta, anche se il documento sul quale è vergata contenga scritti di mano diversa da quella del testatore, in una parte diversa da quella occupata dalla disposizione testamentaria (come nel caso in cui, sotto la firma del de cuius, figurino quelle di una o più altre persone con il relativo indirizzo). Lo stesso dicasi quando, anche di fronte a qualche apparente eterogeneità della grafia (largamente spiegabile in chiave psicologica), ricorrano numerosi argomenti testuali, presuntivi e comportamentali che ne dimostrino, univocamente, la genuinità (Trib. Avellino 12/7/1979). Testamento valido anche nel caso in cui un terzo abbia aggiunto una parola, già tuttavia scritta due volte dallo stesso testatore, poiché tale aggiunta non è idonea ad escludere la provenienza da parte del de cuius delle disposizioni contenute nel documento, essendo la mano del terzo intervenuta quando la volontà del testatore si era già manifestata e concretizzata con l’anteriore duplice scrittura; di conseguenza il testamento deve intendersi scritto per intero di mano del testatore (Cass. 22/10/1996, n. 9172).
In altre parole, il testamento olografo alterato da terzi dopo la stesura ad opera del testatore è valido se l’alterazione non è tale da impedire l’individuazione dell’originaria, genuina volontà del testatore stesso, mentre è annullabile per carenza di olografia se l’intervento di terzi, ancorché costituito da una sola parola, si è manifestato durante la stesura del documento (Cass. 30/10/2008, n. 26258). Successivamente la Cassazione (sentenza n. 9905 del 27/4/2009) ha precisato che lo scritto ad opera di mano estranea a quella del testatore, per essere irrilevante ai fini della validità del testamento, dev’essere inserito in una parte diversa da quella occupata dalle disposizioni testamentarie.
Poiché nessuna norma stabilisce che il testamento olografo debba essere redatto e firmato in un unico contesto temporale, è configurabile la stesura progressiva di esso, con la conseguenza che è valido l’olografo per il quale il testatore utilizzi propri scritti precedentemente stilati di suo pugno, aggiungendovi in un secondo tempo la data, la sottoscrizione ed eventuali espressioni che rivelino la volontà d’imprimere a tali scritti il carattere di testamento (Cass. 22/3/1985, n. 2074). Ininfluente, poi, la circostanza che la firma sia stata apposta in epoca anteriore a quella in cui sono state vergate le disposizioni testamentarie, l’importante essendo che essa risulti apposta in calce alle stesse (Cass. 27/10/2008, n. 2845).Valida anche la manifestazione della volontà testamentaria in uno scritto avente la forma di lettera, firmato con l’indicazione del rapporto di parentela con i beneficiari delle disposizioni (per esempio “papà”), quando comporti la certezza sull’identità della persona del testatore.
Se poi il testamento olografo è stato redatto su più fogli separati, occorre, affinché la manifestazione del testatore possa essere ritenuta valida, che tra i diversi fogli esista un collegamento materiale, e che tra le varie disposizioni in essi contenute, sottoscritte alla fine dal testatore, esista un collegamento logico e sostanziale; nel caso di specie la Cassazione (sentenza n. 11703 del 18/9/2001) ha rigettato il ricorso presentato avverso la pronuncia del giudice di merito che aveva ritenuto configurarsi un tale tipo di collegamento fra una busta e un cartoncino in essa contenuto.
Per quanto riguarda il contenuto delle disposizioni testamentarie, è opportuno descrivere i beni in modo da non lasciare dubbi sulla loro individuazione (per gli immobili non è necessario indicare dati catastali e confini, Cass. 14/2/1980, n. 1112).
A questo primo elemento essenziale che è l’olografia la legge ne affianca altri due: la data e la firma. Per quanto riguarda la data, questa è importante sotto due profili. Il primo è che consente di accertare, qualora il de cuius abbia lasciato più testamenti, qual è l’ultimo (si ricordi quanto detto in 3.1 sulla revocabilità del testamento); il secondo profilo è che la data costituisce un punto di riferimento per stabilire se il testatore, quando ha scritto il testamento, aveva o meno la capacità d’intendere e di volere: nel secondo caso, infatti, l’atto sarebbe impugnabile da questo punto di vista.
Non è detto che la data debba contenere giorno, mese ed anno; è infatti sufficiente un riferimento che non lasci dubbi in ordine al giorno il cui avviene la stesura del documento: per es. “Natale 2005”, “il giorno del mio 68° compleanno”.
La data può essere apposta in ogni parte del documento, non prescrivendo la legge che essa debba precedere o seguire le disposizioni di ultima volontà (Cass. 18/9/2001, n. 11703). Se essa non è stata indicata sulla scheda testamentaria ma sulla busta che la contiene, accompagnata dalla firma del testatore a mò di sigillo, la busta non può essere considerata mero contenitore del testamento ma parte integrante dello stesso, per cui il testamento non può dirsi privo di data ed è quindi pienamente valido (App. Genova 4/3/1999). Lo stesso dicasi nel caso di testamento compilato in tempi diversi, qualora la data sia stata apposta nella parte di scheda contenente le disposizioni scritte per prime; la data così apposta, infatti, soddisfa il relativo requisito ai fini della perfezione del testamento, anche riguardo alle disposizioni introdotte successivamente, siccome parte dell’unica scheda, cui nella sua interezza la data è riferibile (Cass. 31/7/1987, n. 6641).
Per quanto attiene alla firma, essa dev’essere apposta in calce alle disposizioni; se apposta sul margine del foglio pur essendoci spazio per firmare in calce alle disposizioni, il testamento è nullo (Cass. 28/10/2003, n. 16186). La firma non deve comprendere necessariamente nome e cognome del de cuius, essendo sufficiente che designi con certezza la persona del testatore: si pensi al soprannome, allo pseudonimo o al nome d’arte col quale egli è pubblicamente conosciuto. La Corte d’Appello di Cagliari-Sassari (sentenza del 15/1/1993) ha considerato valido il testamento olografo nel quale il testatore, nell’istituire erede la propria moglie (precisandone anche il nome e il cognome), aveva firmato la scheda indicando il proprio nome e l’iniziale del cognome, ed ha considerato irrilevante la circostanza che un terzo, in epoca successiva alla redazione del testamento, avesse completato la sottoscrizione apponendo alla scheda le altre lettere del cognome del testatore.
La Cassazione (sentenza n. 11504 del 21/10/1992) ha a sua volta confermato la sentenza con la quale i giudici di merito avevano desunto la certezza dell’identità della testatrice in base al collegamento della sottoscrizione, costituita dalla parola “mamma”, con altri elementi inseriti nella scrittura, quali la destinazione dello scritto “ai cari figli”, la specificazione di fatti compiuti e di spese sopportate dagli stessi nell’interesse della genitrice, la rievocazione di altre vicende familiari, nonché la disposizione della “casa” unico bene del patrimonio della testatrice. E’ importante che la firma venga apposta in calce alle disposizioni testamentarie e non, per esempio, sulla busta che le contiene, sia pure fermata con punti metallici e con l’indicazione “mio testamento”: vi è infatti l’esigenza di avere assoluta certezza non solo sulla riferibilità delle disposizioni al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche sull’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo nel disporre del suo patrimonio, senza ripensamento alcuno dopo averlo redatto (Cass. 1/12/2000, n. 15379). Se la firma viene apposta con l’accompagnamento della mano di un terzo per la sola eliminazione di scarti o tremolii, il testamento non incorre nella nullità di cui all’art. 606 c.c. (Cass. 7/1/1992, n. 32).
Può accadere che il testatore, dopo aver firmato il documento, intenda aggiungervi una o più postille (dal latino post illa, che significa “dopo quelle cose”); nel qual caso esse dovranno essere seguite da un’altra firma, pena la nullità delle relative disposizioni. L’invalidità del testamento olografo non si trasmette automaticamente al codicillo (codicillo è sinonimo di postilla) aggiunto alla scheda testamentaria (Cass. 1/4/1992, n. 3950).
Mentre autografia e sottoscrizione sono richieste pena nullità del testamento, la mancanza della data o la sua incompletezza (per es. mancanza dell’anno, Trib. Cagliari 10/6/1996), e la presenza di ogni altro difetto di forma, producono soltanto annullabilità dell’atto. Sia la nullità che l’annullabilità rientrano nel più ampio concetto di invalidità, con la nullità che si caratterizza per la presenza di vizi dell’atto più gravi di quelli che contraddistinguono l’annullabilità.
Se l’erede legittimo che agisce in giudizio con l’azione di petizione di eredità (ossia con l’azione finalizzata ad ottenere la restituzione dei beni ereditari da chi li possiede, art. 533 c.c.) dichiara di non riconoscere la grafia o la sottoscrizione del de cuius asseritamente apposta al testamento olografo, il soggetto beneficiato dallo stesso ha l’onere di proporre istanza di verificazione, operando anche per gli eredi e gli aventi causa il meccanismo delineato dagli artt. 214 e segg. Del codice di procedura civile (Trib. Marsala 15/3/2008, n. 148).
Il testamento olografo, come accennato, ha il pregio di non gravare il testatore di alcun costo, essendo sufficienti carta e penna. A questo vantaggio se ne aggiunge un secondo, ancora più importante, rappresentato dalla segretezza: nessuno, infatti, oltre al testatore, conosce le disposizioni che egli ha inserito nel documento.
A questi aspetti positivi se ne contrappone uno negativo, costituito dal fatto che il testamento potrebbe andare distrutto, smarrito o essere trafugato da persona interessata a farlo sparire. Occorre però aggiungere che a questo inconveniente si può ovviare depositando il documento in una cassetta di sicurezza o in altro luogo protetto.
Il testamento pubblico TORNA ALL'INDICE
Il testamento pubblico (art. 603 c.c.) è ricevuto da un notaio in presenza di due testimoni, con il testatore che dichiara al notaio la propria volontà; volontà che il notaio mette per iscritto, dopo di che darà lettura del testamento ai presenti. Di ciascuna di tali formalità viene fatta menzione nel testamento. Questo deve indicare il luogo, la data del ricevimento e l’ora della sottoscrizione, e dev’essere firmato dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell’atto.
Questa forma di testamento presenta, rispetto al testamento olografo, il vantaggio di una maggiore sicurezza, dal momento che resta depositato presso il notaio (si ricordi però quanto detto a proposito della possibilità di depositare il testamento olografo in cassetta di sicurezza). Un altro aspetto positivo del testamento pubblico è che il notaio, in quanto professionista esperto di questa delicata e complessa materia, è in grado di guidare, anche sotto il profilo del contenuto dell’atto, la volontà del testatore, creando le premesse per l’inattaccabilità del documento una volta deceduto il testatore. Per altro verso, sia il notaio che i testimoni, ancorché tenuti al segreto professionale, vengono a conoscenza delle disposizioni testamentarie; circostanza che, da questo punto di vista, fa preferire il testamento olografo.
Particolari disposizioni (artt. 56 e 57 L. 16/2/1913, n.89, cosiddetta legge notarile) regolano il testamento pubblico di chi sia muto, sordo o sordomuto; così, il testatore che sia interamente privo dell'udito deve leggere l'atto e di ciò si fa menzione nel medesimo, mentre se non sa leggere deve intervenire all'atto un interprete nominato dal Presidente del Tribunale tra le persone abituate a trattare con lui e che da lui sappia farsi capire con segni e gesti.
Se invece il testatore è muto o sordomuto, occorre anche in questo caso l’intervento di un interprete e si devono osservare queste formalità: il muto o sordomuto che sappia leggere e scrivere deve leggere (ovviamente mentalmente) l'atto e scrivere alla fine dello stesso, prima delle sottoscrizioni, che lo ha letto e riconosciuto conforme alla sua volontà; se invece, oltre ad essere sordo, muto o sordomuto (ipotesi in cui rientra la cecità, Cass. 8/6/1983, n. 3939), non sa o non può leggere e scrivere, è necessario che il suo linguaggio a segni sia compreso anche da uno dei testimoni (che in tal caso devono essere quattro), o che altrimenti intervenga all'atto un secondo interprete.
Il testamento segreto TORNA ALL'INDICE
Il testamento segreto (artt. 604 e 605 c.c.) può essere scritto, indifferentemente, dal testatore o da un terzo, anche con mezzi meccanici (per es. computer). In particolare, se è scritto dal testatore, questi lo deve sottoscrivere in calce alle disposizioni; se invece è scritto, anche in parte, da altri, o se è scritto con mezzi meccanici, dev’essere sottoscritto dal testatore sia in calce alle disposizioni che in ciascun mezzo foglio, unito o separato che sia.
La carta sulla quale sono scritte le disposizioni testamentarie, o quella che serve da involto (per es. busta), dev’essere sigillata con un’impronta, in modo che il testamento non si possa aprire né estrarre senza rottura.
Una volta redatto e sigillato, il testamento segreto dev’essere consegnato dal testatore, personalmente, a un notaio, alla presenza di due testimoni, con il testatore che deve dichiarare che in questa carta è contenuto il suo testamento. Il notaio, se non vi hanno in precedenza provveduto lo stesso testatore o un terzo, sigilla il foglio sul quale è scritto il testamento (o la busta se in essa contenuto), apponendovi il proprio sigillo su ceralacca (quella che viene tecnicamente indicata come impronta).
Se il testatore è muto o sordomuto deve scrivere la suddetta dichiarazione in presenza di due testimoni, e, se il testamento è stato scritto da altri, deve anche dichiarare, sempre per iscritto, di aver letto il testamento.
Se poi il testatore sa leggere ma non sa scrivere, o non ha potuto apporre la sottoscrizione quando faceva scrivere le proprie disposizioni, deve dichiarare al notaio che riceve il testamento di averlo letto, indicando altresì la causa che gli ha impedito di sottoscriverlo. Di questa circostanza dev’essere fatta menzione nell’atto di ricevimento di cui ci accingiamo a dire.
Sulla carta in cui è scritto o involto il testamento, o su un ulteriore involto predisposto dal notaio e da questi debitamente sigillato, dev’essere redatto un atto di ricevimento contenente gli elementi minuziosamente indicati dalla legge: consegna del testamento, dichiarazione del testatore, numero e impronta dei sigilli, assistenza dei testimoni a tutte le formalità. Questo atto dev’essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio.
Se il testatore non può, per qualsiasi impedimento, sottoscrivere l’atto di consegna, deve dichiararne la causa e, al pari di quanto visto per il testamento pubblico, il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima di dare lettura dell’atto. Il tutto dev’essere fatto di seguito e senza passare ad altri atti.
Il testamento segreto, che riunisce ad un tempo i pregi della segretezza e della sicurezza, qualora manchi di taluno dei requisiti per essere considerato tale vale come testamento olografo se contiene i requisiti di questo tipo di testamento.
Chi non sa o non può leggere non può fare testamento segreto.
Il ritiro del testamento TORNA ALL'INDICE
S’è detto della revocabilità del testamento; in considerazione di questa caratteristica il testatore può, in qualsiasi momento, ritirare dal notaio il testamento segreto o il testamento olografo ivi depositato (art. 608 c.c.). Della restituzione il notaio deve redigere apposito verbale, firmato dal testatore, da due testimoni e dal notaio (se il testatore non può sottoscrivere se ne fa menzione). Se il testamento è depositato in un pubblico archivio, il verbale è redatto dall’archivista e sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dallo stesso archivista. Il ritiro, però, del testamento segreto dalle mani del notaio o dell’archivista, non comporta revoca del testamento se questo può valere come testamento olografo; in tal caso, quindi, se si vuole che il testamento non produca effetti è indispensabile distruggerlo o redigerne un altro con data posteriore.
Indipendentemente, poi, da una revoca formale del testamento, attuata mediante il ritiro dell’atto, l’eventuale testamento (ancorché olografo) redatto successivamente a quello a suo tempo raccolto dal notaio toglie efficacia al precedente, per il principio della revocabilità di questo atto di ultima volontà.
L'invalidità dei testamenti per atto di notaio
Anche per i testamenti pubblico e segreto, come già visto per il testamento olografo, sono previsti casi d’invalidità dell’atto. In particolare, l’art. 606 c.c. stabilisce che il testamento per atto di notaio (l’espressione comprende, appunto, sia il testamento pubblico che il testamento segreto) è nullo nei seguenti casi:
- se manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore;
- se manca la firma del testatore;
- se manca la firma del notaio.
L’azione diretta a far valere la nullità del testamento - abbiamo visto anche questo - può essere esperita senza limite di tempo, tranne che sia intervenuta usucapione del diritto in capo al destinatario dell’azione.
Per gli altri difetti di forma (per es. mancanza di data, mancanza di sottoscrizione dei testimoni) il testamento per atto di notaio è annullabile su istanza di chiunque vi abbia interesse e l’azione, al pari di quanto visto per il testamento olografo, si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Il testamento che contenga soltanto l’attestazione del notaio che il testatore è impossibilitato a sottoscrivere l’atto per infermità, senza che risulti nell’atto stesso la menzione dell’analoga dichiarazione del testatore ricevuta dal notaio, come prescritto dall’art. 603, terzo comma, c.c., è nullo (Cass. 17/6/1991, n. 6838). Nullo anche il testamento contenente la falsa dichiarazione di analfabetismo, resa al notaio e da questi registrata nell’atto, a giustificazione del diniego di sottoscrizione da parte del testatore (Trib. Lucca 11/4/1990). In particolare, il testamento del sordomuto analfabeta è nullo, ai sensi dell’art. 58 L. 16/2/1913, n. 89, nell’ipotesi in cui uno dei due interpreti sia stato sostituito dal notaio e l’atto non contenga alcuna menzione che almeno una delle persone intervenute come testimone aveva capacità d’intendere il linguaggio a segni del sordomuto (Cass. 14/11/1991, n. 12176).
Nella tabella appresso riprodotta riassumiamo, sulla scorta del codice civile e della L. 16/2/1913, n. 89 (legge notarile), la casistica riguardante la capacità di fare o meno i vari tipi di testamento.
INSERIRE LA TABELLA
(1) Deve dichiarare al notaio che riceve il testamento di averlo letto e specificare la causa che gli ha impedito di firmare (del che si fa menzione nell’atto di ricevimento).
(2) Deve leggere l’atto e di ciò si fa menzione nel medesimo. Se non sa leggere occorre la presenza di quattro testimoni e deve intervenire all’atto un interprete nominato dal Presidente del Tribunale fra le persone abituate a trattare con il testatore e che da lui sappia farsi intendere con segni e gesti.
(3) Oltre all’interprete di cui alla nota che precede:
- se sa leggere e scrivere, deve egli stesso leggere l’atto e scrivere alla fine del medesimo, prima delle sottoscrizioni, che lo ha letto e riconosciuto conforme alla sua volontà;
- se non sa leggere occorre la presenza di quattro testimoni;
- se non sa o non può leggere e scrivere, è necessario che il suo linguaggio a segni sia compreso anche da uno dei testimoni, o che intervenga all’atto un secondo interprete.
(4) Deve dichiarare per iscritto:
- che nella carta che viene esibita al notaio è contenuto il suo testamento;
- di aver letto il testamento se questo è stato scritto da altri.
L'impugnazione del testamento TORNA ALL'INDICE
Il testamento, sia che escluda uno o più legittimari, sia che presenti elementi d’invalidità (per esempio perché se ne assume la falsità o perché redatto da persona incapace), può essere impugnato tanto in sede civile quanto in sede penale. A rigore si dovrebbe parlare d’impugnazione del testamento quando si contesta il documento nella sua materialità (per es. perché falso) o perché proveniente da persona incapace, e d’impugnazione della disposizione testamentaria quando si contesta il contenuto del documento, ma per comodità espositiva parliamo tout-court d’impugnazione del testamento.
Nelle relative cause sono parti necessarie, oltre agli eredi istituiti dal de cuius, anche tutte le persone che gli succederebbero per legge in seguito alla caducazione dell’atto di ultima volontà, stante l’unitarietà del rapporto dedotto in giudizio, rapporto che non potrebbe essere regolato, in caso di accoglimento della domanda, contemporaneamente dal testamento per alcuni e dalla legge per altri (Cass. 23/2/2001, n. 2671). Non sono invece litisconsorti necessari i soggetti intestatari in qualità di semplici fiduciari di beni caduti in successione, la cui effettiva titolarità appartenga, invece, al fiduciante (Cass. 1/7/1993, n. 7186).
Il testamento non può essere impugnato da chi non vi ha interesse: per es. dagli eredi legittimi (nella specie i cugini del de cuius) esclusi dall’ordine della successione legittima in conseguenza dell’esistenza in vita di altri eredi legittimi di grado poziore (nella specie, le sorelle del testatore) che non abbiano a loro volta impugnato il testamento, poiché nessun concreto vantaggio potrebbe loro derivare dall’eventuale accoglimento dell’azione così proposta, essendo l’eredità destinata a devolversi, in tal caso, ai detti eredi di grado pozione (Cass. 4/12/1998, n. 12291).
L’azione può invece essere proposta in via surrogatoria dal creditore di chi sarebbe chiamato alla successione, per legge, nell’ipotesi di annullamento del testamento (Trib. Palermo 3/7/1982).
La sentenza che rigetta l’impugnazione del testamento, una volta passata in giudicato, fa stato solo nei confronti delle parti di quel giudizio, ma non è opponibile, in virtù dell’efficacia riflessa del giudicato, ad altro legittimato all’annullamento che abbia successivamente promosso nuovo giudizio per lo stesso motivo (App. Napoli 29/7/1980).
Frequente motivo d’impugnazione è captazione, ossia il dolo che si assume essere stato posto in essere per condizionare la volontà del testatore. Per affermare l’esistenza della captazione, che dev’essere configurata come il dolus malus causam dans trasferito dal campo contrattuale a quello testamentario, non basta però una qualsiasi influenza esercitata sul testatore per mezzo di sollecitazioni, consigli, blandizie e promesse, ma è necessario il concorso di mezzi fraudolenti, che siano da ritenersi idonei ad ingannare il testatore e ad indurlo a disporre in modo difforme da come avrebbe deciso se il suo libero orientamento non fosse stato artificialmente e subdolamente deviato. L’idoneità dei mezzi de quibus deve però essere valutata, in relazione al testamento, con maggiore larghezza rispetto alla materia contrattuale, e, in ogni caso, con precipuo riferimento all’età, allo stato di salute e alle condizioni psichiche del de cuius, in considerazione della particolare natura del negozio testamentario, nonché del fatto che, nell’atto di compierlo, il disponente potrebbe risultare più facile vittima di altrui suggestioni a causa di anormali condizioni di salute o di spirito. (Cass. 14/6/2001, n. 8047).
Poiché la prova di un’attività captatoria della volontà del testatore non può aversi normalmente in via diretta, la stessa può desumersi da comportamenti, atti e successione di eventi altrimenti non comprensibili, sia del testatore che di coloro che dalla frode stessa vengano a trarre beneficio; ai predetti fini sono, pertanto, ammissibili e rilevanti le prove testimoniali dirette a dimostrare il comportamento dei parenti diretto ad isolare il testatore dal figlio naturale durante gli ultimi giorni di vita del primo, specie quando i rapporti fra i due soggetti, ottimi ed affettuosi fino agli ultimi giorni di vita del testatore, siano improvvisamente cambiati, senza alcuna evidente ragione, nell’ultimissimo tempo di vita dello stesso, tanto da indurlo a redigere un testamento pubblico malgrado avesse già provveduto, con precedenti olografi, a curare minuziosamente il trasferimento dei propri beni per il tempo successivo alla sua morte (Cass. 18/8/1981, n. 4939).
Altro motivo d’impugnazione del testamento può essere la sua falsità, per il cui accertamento ci si può giovare del procedimento di verificazione della scrittura privata (art. 216 e segg. c.p.c.). L’espletamento della consulenza grafica in questo tipo di procedimento non osta a che il giudice di merito possa far ricorso ad altre fonti di prova e, in particolare, a presunzioni semplici, desunte, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, da fatti acquisiti mediante prova testimoniale (Cass. 6/4/1981, n. 1940).
La disposizione testamentaria può inoltre essere impugnata quando sia effetto di errore, violenza o dolo e la relativa azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è avuta notizia dell’errore, della violenza o del dolo. Se però si tratta di errore sul motivo, di fatto o di diritto che sia, esso è causa di annullamento della disposizione testamentaria soltanto se risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.
Il motivo illecito rende nulla la disposizione testamentaria quando risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.
Ne caso, infine, di grave infermità mentale del testatore, chi impugna la validità del testamento olografo è tenuto solo a provare l’esistenza della malattia, mentre chi intende giovarsi del testamento deve provare l’esistenza di un intervallo di lucidità nel momento in cui furono espresse le ultime volontà (Cass. 29/1/2007, n. 1770).
La circostanza che il testamento pubblico sia stato redatto, in modo chiaro, da un pubblico ufficiale, ossia da un tecnico del diritto, non costituisce prova al fine di ritenere che il disponente fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali o che la sua volontà fosse libera; di conseguenza l’atto può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza bisogno di proporre querela di falso (Cass. 18/8/1981, n. 4939).
S’è detto della nullità e dell’annullabilità del testamento. Dalla differenza tra queste due forme d’invalidità discende che, mentre l’azione volta a far dichiarare la nullità del testamento può essere esperita in qualsiasi tempo (fatta salva l’eventuale, intervenuta usucapione in capo al destinatario di detta azione), l’azione diretta a far valere l’annullabilità si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie (artt. 591, terzo comma, e 606, secondo comma, c.c.), dopo di che l’annullabilità è sanata e il testamento diviene quindi valido. La Cassazione (sentenza n. 892 del 30/1/1987) ha precisato che per “esecuzione del testamento” deve intendersi un’attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del testatore, come la consegna o l’impossessamento dei beni ereditari o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo, e non, per esempio, la pubblicazione del testamento olografo, che è atto anteriore e soltanto preparatorio alla sua effettiva esecuzione, né la presentazione della denuncia di successione e neppure l’istanza di sequestro giudiziario di beni ereditari, con la quale si chiede un provvedimento tipicamente cautelare, diretto alla mera custodia o gestione temporanea e non attributivo o dichiarativo della proprietà né del possesso dei beni stessi, per ottenere i quali è necessaria la citazione per la convalida e per il merito.
La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, abbia, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione o dato ad essa volontaria esecuzione.
I testamenti speciali TORNA ALL'INDICE
La legge, per consentire di disporre per testamento anche a chi dovesse venirsi a trovare in situazioni tali da non potersi giovare di alcuno degli strumenti di ultima volontà che siano venuti illustrando, prevede delle forme speciali di testamento, variabili a seconda delle circostanze (art. 609 e segg. c.c.).
Caratteristica comune a queste forme di testamento è che il documento così redatto perde efficacia decorsi tre mesi dalla cessazione della causa (variabile, come ci accingiamo a vedere, a seconda delle circostanze) che vi ha dato titolo.
I casi di testamento speciale sono sostanzialmente riconducibili alle seguenti ipotesi:
- malattie contagiose, calamità pubbliche e infortuni;
- testamento a bordo di navi e aeromobili;
- militari e assimilati.
Malattie contagiose – Calamità pubbliche - Infortuni
Se il testatore non può avvalersi delle forme di testamento ordinario perché si trova in un luogo dominato da una malattia reputata contagiosa, o per causa di pubblica calamità o per infortunio, il testamento può essere ricevuto da un notaio, dal Giudice di pace del luogo, dal Sindaco o da chi ne fa le veci, o da un ministro di culto, in presenza di due testimoni di età non inferiore a sedici anni.
In questi caso il testamento viene redatto e sottoscritto da chi lo riceve, e viene firmato anche dal testatore e dai testimoni (se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere se ne indica la causa).
Come già detto, questo tipo di testamento perde efficacia decorsi tre mesi dalla cessazione della causa che ha impedito al testatore di avvalersi delle forme ordinarie. Se poi il testatore muore nel periodo di validità del testamento, questo dev’essere depositato, appena possibile, nell’archivio notarile del luogo in cui è stato ricevuto.
Il testamento a bordo di navi e aeromobili
Durante il viaggio per mare (non, quindi, durante la sosta nei porti) il testamento può essere ricevuto, a bordo, dal comandante della nave (art. 296 del codice della navigazione). Se poi a dover fare testamento è lo stesso comandante, il documento può essere ricevuto da chi lo segue immediatamente dopo in ordine di servizio (la gerarchia dei componenti l’equipaggio è minuziosamente riportata negli artt. 321 e 322 c.d.n., a seconda che si tratti, rispettivamente, di navigazione marittima o di navigazione interna).
Quanto alla forma di questo tipo di testamento, esso dev’essere redatto in doppio originale, alla presenza di due testimoni, e dev’essere firmato dal testatore, dalla persona che lo ha ricevuto e dai testimoni. Se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere si deve indicare il motivo che ha impedito la sottoscrizione. Il testamento viene conservato fra i documenti di bordo ed è annotato sul giornale di bordo (oppure sul giornale nautico) e sul ruolo di equipaggio.
Se la nave approda in un porto estero in cui vi sia un’Autorità consolare, il comandante è tenuto a consegnare all’Autorità medesima uno dei due originali, unitamente a una copia dell’annotazione fatta sul giornale di bordo (o sul giornale nautico) e sul ruolo di equipaggio.
Al ritorno della nave nello Stato, i due originali del testamento (o quello non depositato come sopra) devono essere consegnati all’Autorità marittima locale insieme alla copia dell’annotazione. L’Autorità marittima (quella consolare nel caso in cui sia stata questa a ricevere copia del testamento come sopra) deve redigere verbale della consegna del testamento e trasmettere il verbale stesso e gli atti ricevuti al Ministero della difesa o al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a seconda che il testamento sia stato ricevuto a bordo di una nave della marina militare o di una nave della marina mercantile. A questo punto uno degli originali resterà depositato presso il competente ministero, mentre l’altro verrà trasmesso, a cura dello stesso ministero, all’archivio notarile del domicilio o dell’ultima residenza del testatore.
Per quanto riguarda il testamento fatto a bordo di un aeromobile durante il viaggio, si applicano le disposizioni già viste, con queste differenze: il comandante dell’aeromobile può ricevere il testamento in presenza di un solo testimone se non è possibile averne due, il testamento è annotato sul giornale di rotta e le attribuzioni che abbiamo visto essere di competenza delle Autorità marittime spettano alle Autorità aeronautiche. In materia il Tribunale di Viterbo (sentenza del 14/4/1987) ha stabilito che la suggestione provocata dal pericolo di un disastro in un viaggio aereo, se è valido motivo per la redazione di un testamento, poi non modificato al rientro in sede, non ne determina l’inefficacia a causa di un’alterata situazione psichica del de cuius all’atto della sua redazione.
I testamenti fatti a bordo di navi e aeromobili perdono la loro efficacia decorsi tre mesi dallo sbarco del testatore in un luogo in cui è possibile fare testamento nelle forme ordinarie. Il testamento dei militari
Il testamento dei militari (ma la stessa possibilità è accordata alle persone al seguito delle forze armate: si pensi a un giornalista embedded, ossia aggregato ad esse) può essere ricevuto, ricorrendo i presupposti che tra breve vedremo, da un ufficiale, da un cappellano militare o da un ufficiale della Croce Rossa, alla presenza di due testimoni. Il documento dev’essere sottoscritto dal testatore, dalla persona che lo ha ricevuto e dai testimoni (se il testatore o i testimoni non possono sottoscrivere si deve indicare il motivo che ha impedito la sottoscrizione).
Il testamento così redatto dev’essere trasmesso al più presto al quartiere generale e da questo al ministero competente, che ne ordina il deposito nell’archivio notarile del luogo del domicilio o dell’ultima residenza del testatore.
Si diceva dei presupposti che devono sussistere affinché i militari e le persone al seguito delle forze armate possano essere ammessi a questa forma di testamento. In primo luogo vi possono ricorrere coloro i quali, appartenendo a Corpi o servizi mobilitati, o comunque impegnati in guerra, si trovino in zona di operazioni belliche o siano prigionieri presso il nemico, nonché coloro che siano acquartierati o di presidio fuori dello Stato o in luoghi dove siano interrotte le comunicazioni.
Anche questo tipo di testamento è sottoposta alla regola della caducità: esso, infatti, perde efficacia tre mesi dopo il ritorno del testatore in un luogo in cui sia possibile fare testamento nelle forme ordinarie.
L’invalidità dei testamenti speciali
Anche per i testamenti speciali, al pari di quanto visto per i testamenti ordinari, sono previste ipotesi d’invalidità, trattandosi anche in questo caso, sia pure in un contesto di adempimenti meno rigorosi di quelli che caratterizzano i testamenti ordinari, di atti che devono essere redatti nel rispetto di particolari formalità.
L’art. 619 c.c., che regola questo aspetto dei testamenti speciali, dispone che essi sono nulli nei seguenti casi:
- se manca la redazione per iscritto della dichiarazione del testatore;
- se manca la sottoscrizione della persona autorizzata a ricevere la dichiarazione;
- se manca la sottoscrizione del testatore.
L’azione diretta a far valere la nullità del testamento -ricordiamo- può essere esperita senza limite di tempo, tranne che sia intervenuta usucapione del diritto in capo al destinatario dell’azione.
I difetti di forma diversi da quelli sopra indicati danno luogo ad annullabilità del testamento e la relativa azione, al pari di quanto già visto a proposito dei testamenti ordinari, può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.
Il testamento internazionale TORNA ALL'INDICE
La L. 29/11/1990, n. 387, in attuazione della Convenzione di Washington del 26/10/1973, ha recepito nel nostro ordinamento giuridico il testamento internazionale, le cui caratteristiche sono simili a quelle del testamento segreto.
In particolare, abilitati a ricevere il testamento internazionale sono non soltanto i notai (limitatamente al territorio nazionale), ma anche gli agenti diplomatici e consolari all’estero, qualora la legge dello Stato estero lo consenta.
Questo tipo di testamento può essere scritto anche da persona diversa dal testatore, in una qualsiasi lingua, a mano o con altro procedimento. Il testatore dichiara, in presenza di due testimoni e di una persona abilitata a riceverlo come sopra, che il documento è il suo testamento e che egli è a conoscenza del suo contenuto.
Il testatore, che non è tenuto a far conoscere il contenuto del testamento ai testimoni e alla persona abilitata a riceverlo, firma il documento o, se lo aveva firmato in precedenza, riconosce e conferma la sua firma in presenza dei testimoni e della persona abilitata. Se invece è nell’incapacità di firmare, ne indica la ragione alla persona abilitata, che ne fa menzione nel testamento. La Convenzione prevede anche che la legge nazionale possa autorizzare il testatore a chiedere che a firmare a suo nome sia un’altra persona. I testimoni e la persona abilitata devono firmare il testamento in presenza del testatore.
Tutte le firme devono essere apposte in calce al testamento; pure in calce dev’essere apposta la data a cura della persona abilitata; se il testamento comprende diversi fogli, questi devono essere numerati e ciascun foglio dev’essere firmato dal testatore, o, se è nell’incapacità di firmare, dalla persona che firma a suo nome, o in mancanza dalla persona abilitata.
La persona abilitata allega al testamento un attestato redatto seguendo la traccia stabilita dalla richiamata Convenzione internazionale, nel quale si precisa che gli obblighi di legge sono stati rispettati (una copia resta alla persona abilitata e una viene da questa consegnata al testatore). La mancanza o l’irregolarità dell’attestato non pregiudica però la validità del testamento redatto come sopra.
Pubblicazione e comunicazione del testamento
Sia il testamento olografo che il testamento segreto, alla morte del testatore, devono essere sottoposti alla formalità della pubblicazione (art. 620 e segg. c.c.); pubblicazione che, come suggerisce lo stesso termine, consiste nel rendere noto il contenuto del documento seguendo le disposizioni che ci accingiamo a descrivere.
Chiunque fosse in possesso di un testamento olografo, non appena ha notizia della morte del testatore lo deve presentare a un notaio affinché ne curi la pubblicazione. Il notaio, in presenza di due testimoni, redige un verbale nella forma degli atti pubblici, nel quale descrive lo stato del testamento, ne riproduce il contenuto e, se è stato presentato sigillato, fa menzione della sua apertura. Il verbale viene sottoscritto dai testimoni, da chi ha presentato il testamento e dal notaio.
Al verbale vengono allegati la carta su cui è scritto il testamento, vidimata in ciascun mezzo foglio sia dal notaio che dai testimoni, e l’estratto dell’atto di morte del testatore (nei casi di dichiarata assenza o di morte presunta al certificato si sostituisce, rispettivamente, copia dell’atto che ordina l’apertura degli atti di ultima volontà dell’assente o della sentenza che dichiara la morte presunta). Se il testamento era stato a suo tempo depositato dallo stesso testatore presso un notaio, sarà questi a curarne la pubblicazione.
Avvenuta la pubblicazione il testamento olografo ha esecuzione. L’erede testamentario che, invece di attivarsi per la pubblicazione del testamento, lo sopprime, risponde del reato previsto dall’art. 490 del codice penale (soppressione, distruzione e occultamento di atti veri); egli, infatti, abbia o meno accettato l’eredità, non ha il diritto di distruggere il testamento, del quale non ha potere esclusivo di disposizione, ma è tenuto a provvedere a renderlo pubblico appena abbia notizia della morte del testatore (Cass. 5/7/1983).
Chi vi ha interesse può, per giustificati motivi, chiedere al Tribunale di disporre che periodi o frasi di carattere non patrimoniale siano cancellati dal testamento e omessi nelle copie che fossero richieste, salvo che l’A.G. autorizzi il rilascio di copia integrale.
Per quanto concerne il testamento segreto, esso dev’essere aperto e pubblicato dal notaio non appena abbia notizia della morte del testatore, seguendo le formalità viste a proposito del testamento olografo.
A pubblicazione avvenuta (sia che si tratti di testamento olografo, sia che si tratti di testamento segreto) il notaio comunica l’esistenza del testamento agli eredi e ai legatari di cui conosca il domicilio o la residenza.
Sia nel caso di testamento olografo che nel caso di testamento segreto, chiunque creda di avervi interesse può chiedere, con ricorso al Tribunale nel cui circondario si è aperta la successione, che sia fissato un termine per la presentazione del documento (nel caso di testamento olografo) o per l’apertura e la pubblicazione (nel caso di testamento segreto).
La pubblicazione del testamento olografo (o di quello segreto) non costituisce elemento di validità né di efficacia del testamento stesso, ma è necessaria al solo scopo di ottenere, da chi non voglia espressamente consentirvi, l’esecuzione delle disposizioni in esso contenute (App. Torino 26/5/1983).
La richiesta di pubblicazione del testamento, inoltre, non può essere considerata, di per sé, come atto di accettazione tacita dell’eredità (retro 2.3).
Per quanto riguarda il testamento pubblico, il notaio che lo ha ricevuto deve, non appena gli sia nota la morte del testatore, darne comunicazione agli eredi e ai legatari di cui conosca il domicilio o la residenza.
Il notaio deve trasmettere alla cancelleria del Tribunale nel cui circondario si è aperta la successione copia in carta libera dei verbali riguardanti la pubblicazione dei testamenti olografi e segreti, e copia dei testamenti pubblici. Gli estremi dei testamenti (per es. forma dell’atto, data, generalità del testatore) nei quali sia comunque intervenuto un notaio vengono iscritti, in attuazione di una Convenzione internazionale, nel registro generale del testamenti, istituito presso l'Ufficio Centrale degli archivi notarili (Via Padre Semeria, 95 - 00154 Roma – Tel. 06.516411 Fax 06.5133391 email ucan@giustizia.it), nell’ambito del Ministero della Giustizia. Il registro consente agli interessati di conoscere se una persona deceduta ha fatto testamento, nonché il luogo in cui l'atto di ultima volontà è custodito (occorre fra l’altro allegare alla domanda il certificato di morte).
La sostituzione testamentaria TORNA ALL'INDICE
Scopo della sostituzione testamentaria, che può essere ordinaria e fedecommissaria, è assicurare ai beni ereditari la destinazione voluta dal testatore.
Con la sostituzione ordinaria (art. 688 e segg. c.c.) il testatore dispone che, qualora la persona designata come erede o legatario non possa o non voglia accettare, i beni vadano ad altra persona indicata nello stesso testamento: per es. “Se Tizio non accetta o muore prima di me, la sua quota andrà a Caio”. Se l’ipotesi prevista dal testatore è una sola (“Se Tizio non accetta” oppure “Se Tizio muore prima di me”), la legge presume che egli abbia voluto comprenderle entrambe, salvo che risulti una diversa volontà.
E’ anche possibile sostituire più persone a una sola, o una sola persona a più persone. La sostituzione può inoltre essere reciproca fra i coeredi istituiti; in tal caso, se essi sono stati istituiti in parti disuguali, la proporzione fra le quote fissate nella prima istituzione si presume ripetuta anche nella sostituzione. Se poi, insieme ai coeredi istituiti, viene chiama alla sostituzione anche un’altra persona, la quota vacante viene sostituita in parti uguali fra tutti i sostituti.
I sostituti sono tenuti agli stessi obblighi degli istituiti, salvo che il testatore abbia espresso una diversa volontà o si tratti di obblighi di carattere personale.
Le norme sopra riportate si applicano anche ai legati.
Più articolata è la sostituzione fedecommissaria (dal latino fidei committere, che significa affidare alla fiducia). Con essa (art. 692 e segg.c.c.) ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell’interdetto possono istituire erede o legatario, rispettivamente, il figlio, il discendente o il coniuge, con l’obbligo, per il soggetto designato, di conservare e restituire alla sua morte i beni, anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo, cui spetta, finché è in vita, il godimento dei beni. Questo tipo di sostituzione può riguardare anche un minorenne che si trovi in condizioni d’infermità tali da far presumere che verrà interdetto nell’ultimo anno della minore età. Se a prendersi cura dell’interdetto sono più persone o enti, i beni vengono ripartiti in proporzione al tempo dedicato da ciascuno a questo compito. In ogni altro caso la sostituzione fedecommissaria è nulla.
Scopo della sostituzione fedecommissaria è dare al testatore la possibilità di favorire quelle persone o quegli enti che si siano prodigati nell’assistenza al congiunto interdetto, tanto che essa non produce effetti nei confronti della persona o dell’ente che abbia violato gli obblighi di assistenza; lo stesso dicasi se l’interdizione viene negata, se il relativo procedimento non inizia entro due anni dal raggiungimento della maggiore età da parte del minore abitualmente infermo di mente, o se l’interdizione viene revocata. Come già detto, i beni, alla morte della persona istituita, si devolvono al sostituto. Se però le persone o gli enti che hanno avuto cura dell’incapace, rispettivamente, muoiono o si estinguono prima di lui, i beni o la quota di beni che spetterebbe loro viene assegnata ai successori legittimi dell’incapace.
La persona istituita, che la legge assimila all’usufruttuario, ha il godimento e la libera amministrazione dei beni oggetto della sostituzione fedecommissaria, in ordine ai quali può compiere tutte le innovazioni dirette ad una loro migliore utilizzazione, nonché la legittimazione processuale per tutte le azioni relative ai beni medesimi. L’A.G., in caso di evidente utilità, può autorizzare l’alienazione di questi beni e il reimpiego delle somme ricavate; può anche consentire, con le dovute cautele, la costituzione di ipoteche a garanzia di crediti destinati a miglioramenti e trasformazioni fondiarie.
Quanto ai creditori dell’istituito, essi possono agire soltanto sui frutti dei beni oggetto di sostituzione.
La clausola che dispone la sostituzione fedecommissaria è applicabile anche ai legati ed è tecnicamente indicata come fedecommesso.
Analogo alla sostituzione fedecommissaria era il fedecommesso de residuo (parliamo al passato perché questo istituto è stato abrogato), col quale il testatore disponeva non che la persona istituita dovesse conservare i beni affinché alla sua morte andassero al sostituto (essa poteva quindi disporne liberamente, ma solo per atto tra vivi), ma che trasferisse alla persona designata dallo stesso testatore quelli che residuavano (da ciò il termine) alla sua morte.
Un caso particolare è quello dell’usufrutto. Il testatore non può lasciare l’usufrutto a più persone, in successione, intesa l’espressione nel senso che alla morte del primo istituito l’usufrutto passi al secondo, eventualmente a un terzo e così via (lo stesso dicasi di una rendita o di un’annualità); la disposizione, infatti, ha valore solo nei confronti di coloro che, alla morte del testatore, si trovano primi chiamati a goderne. Relativamente, poi, all’ipotesi in cui il testatore abbia lasciato a un soggetto l’usufrutto e a un altro soggetto la nuda proprietà, non è ravvisabile sostituzione fedecommissaria quando, indipendentemente dalla terminologia usata, dalla disposizione emerge l’attribuzione ai chiamati di due diritti diversi, rispettivamente di godimento al primo e di nuda proprietà al secondo, poiché in tale ipotesi erede è soltanto il nudo proprietario, il quale può esercitare i relativi poteri fin dal momento dell’apertura della successione; al contrario, è ipotizzabile una sostituzione fedecommissaria qualora il testatore, pur adoperando la terminologia corrispondente ad un’attribuzione separata di usufrutto e di nuda proprietà, abbia attribuito all’onorato dell’usufrutto diritti ed obblighi incompatibili con la qualità di usufruttuario e spettanti invece all’erede, oppure abbia condizionato l’acquisto della qualità di erede del secondo alla sopravvivenza al primo (Cass. 17/4/2001, n. 5604).
Le disposizioni fiduciarie TORNA ALL'INDICE
L’art. 627 c.c. stabilisce che non è possibile agire in giudizio per far accertare che le disposizioni fatte a favore di una persona indicata nel testamento sono apparenti ed in realtà destinate a favorire un’altra persona (si parla a riguardo di disposizioni fiduciarie), anche se le espressioni usate dal testatore possono indicare o far presumere che si tratti di persona interposta. In altri termini, non si vuole incoraggiare la designazione di eredi o legatari fittizi, la cui funzione è soltanto quella di fare da tramite fra il de cuius e l’effettivo istituito.
Questo criterio incontra però due eccezioni. La prima è che la persona indicata nel testamento, che abbia spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la restituzione di ciò che ha dato, salvo si tratti di persona incapace. Questo perché l’eventuale adempimento della disposizione configura un’obbligazione naturale; un’obbligazione, cioè, che da un lato non attribuisce al destinatario della prestazione azione legale per esigerla, e dall’altro impedisce che chi ha adempiuto spontaneamente avendone la capacità (da qui l’eccezione dell’incapace) possa pretendere la restituzione di ciò che ha dato.
La seconda eccezione è che la disposizione fiduciaria o il legato possono essere impugnati quando si assuma che sono stati posti in essere per favorire taluna delle persone incapaci di ricevere per testamento.
Il secondo comma dell’art. 599 c.c. precisa che si considerano persone interposte il padre, la madre, i discendenti e il coniuge della persona incapace, anche se chiamati congiuntamente con l’incapace.
L'interpretazione del testamento TORNA ALL'INDICE
Non sempre la volontà del testatore (ci riferiamo soprattutto al testamento segreto e al testamento olografo perché in quello pubblico il notaio può contribuire anche alla chiarezza delle disposizioni) viene espressa in maniera inequivocabile e comprensibile; a volte, infatti, è la stessa grafia a porre problemi d’interpretazione. Da qui l’esigenza di cercare di risalire alla volontà del testatore, ossia d’interpretare il contenuto del testamento.
Va premesso che l’interpretazione del testamento è caratterizzata, rispetto a quella del contratto, da una ricerca più incisiva della volontà del testatore, al di là del testo attraverso il quale essa si esprime; in particolare, la Cassazione (sentenza n. 3972 del 6/7/1984) ha stabilito che nell’interpretazione di un testamento olografo la personalità, la condizione sociale o culturale e l’età del testatore sono elementi estrinseci alla scheda testamentaria ma utilizzabili in caso di dubbio sulla portata delle disposizioni espresse in modo improprio o ambiguo, integranti un criterio ermeneutico consentito dall’art. 1362 c.c., e particolarmente rilevante in materia di negozi mortis causa. Da ciò discende che è possibile attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto e dei suddetti elementi estrinseci, che esse sono state adoperate in senso diverso, purché non contrastante ed antitetico, e si prestino ad esprimere, in modo più adeguato e coerente, la reale intenzione del de cuius.
Alla luce di questo criterio la clausola si sine liberis decesserit (ossia la clausola con la quale il testatore stabilisce che, se l'istituito, erede o legatario, morirà senza figli, l'eredità si devolverà ad un altro soggetto designato dal testatore medesimo) è stata interpretata (Cass. 28/12/1993, n. 12861) nel senso di escludere che il testatore volesse considerare figlio anche quello adottivo, mentre il Tribunale di Venezia (sentenza del 25/7/1992) ha precisato che, nell’interpretare la volontà espressa dal testatore, il giudice deve tener conto che il lessico comune individua i “cugini” solo in quelli di primo grado, avendo anche riguardo alla specifica situazione di età, cultura e condizione personale del de cuius. Ancora, il Tribunale di Genova (sentenza dell’8/10/1983) ha considerato valida la scheda testamentaria che, pur non facendo espresso riferimento alla “causa di morte”, conteneva espressioni tali da non lasciare alcun dubbio sulla volontà del de cuius di disporre per il tempo successivo alla propria morte (nella fattispecie figuravano le parole “lascio”, notoriamente impiegata in negozi mortis causa, e “tutto”, esaustiva dell’attribuzione patrimoniale). La Cassazione (sentenza n. 19463 del 6/10/2005), in presenza di un testamento col quale una persona era stata istituita erede “qualora dovessi morire per cause accidentali o per causa naturale”, ha ritenuto che con la specificazione della causa della morte il testatore avesse posto un limite alle ipotesi di vocazione ereditaria, escludendo implicitamente l’istituzione di erede nel caso di morte per causa volontaria, come nel caso del suicidio o dell’omicidio del testatore.
Il principio da seguire in questo ambito è quello del favor testamenti, per il quale, fra le possibili interpretazioni, si deve privilegiare quella che porta alla conservazione delle disposizioni testamentarie rispetto a quella che le priva di effetti. Così il Tribunale di Treviso (sentenza del 27/3/1999) ha stabilito che non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 628 c.c., ma nell’eccezione a tale disposto, prevista dall’art. 630, primo comma, c.c., la disposizione con cui il testatore abbia destinato una somma di denaro alla realizzazione di una casa di riposo per gli anziani del Comune, vale a dire per una categoria di persone genericamente indicata; è infatti evidente lo scopo morale e benefico perseguito dal defunto, scopo coincidente con quello posto a fondamento dell’art. 630, primo comma, c.c., per il quale si mantiene la validità di clausole testamentarie altrimenti nulle ex art. 628 c.c. a causa dell’indeterminabilità del destinatario.
Per il Tribunale di Vallo della Lucania (sentenza del 17/4/2002), è ammissibile un’interpretazione antiletterale del testamento quando sia evidente che il testatore è incorso nell’errore ostativo (ossia ha espresso una volontà diversa da quella effettiva), mentre per la Corte d’Appello di Perugia (sentenza del 6/11/1998) il giudice può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale quando sia evidente, in seguito alla valutazione complessiva dell’atto, che esse sono state usate in senso diverso, e può utilizzare, a tal fine, il criterio della minore gravosità per l’obbligato previsto per i contratti dall’art. 1371 c.c.; criterio, questo, ritenuto però dalla Cassazione (sentenza n. 4373 del 27/3/2002) inapplicabile al testamento, non essendo ipotizzabile un conflitto d’interessi tra i soggetti del rapporto successorio.
L’esecutore testamentario TORNA ALL'INDICE
Il testatore, allo scopo di assicurare il puntuale rispetto delle disposizioni contenute nel testamento (soprattutto se si tratta di successione particolarmente complessa), può nominare un esecutore testamentario (art. 700 e segg. c.c.) con il compito, appunto, di curare l’esecuzione delle sue ultime volontà. E’ consigliabile, a questo fine, designare l’esecutore testamentario nella persona di un erede o di un legatario, o di un professionista di fiducia (per es. avvocato, notaio), oppure nella persona di un erede o di un legatario da un lato, e in quella di un professionista dall’altro: è infatti possibile nominare più di un esecutore testamentario.
L’ufficio di esecutore testamentario è gratuito; tuttavia, specialmente nei casi in cui venga designato un estraneo alla famiglia, ad evitare possibile rinunce all’incarico è consigliabile fissare un compenso per l’attività, sia pure facendo generico riferimento, qualora venga nominato un libero professionista, alla tariffa professionale. Il compenso grava sull’asse ereditario, come gravano sull’asse ereditario le eventuali spese sostenute dall’esecutore testamentario.
Il testatore può anche prevedere che la persona o le persone nominate esecutore testamentario non possano o non vogliano assumere l’incarico, designando a questo fine altra persona o altre persone in loro sostituzione.
Un’altra possibilità accordata al testatore è quella di affidare allo stesso esecutore testamentario la nomina di un sostituto qualora egli non possa continuare nell’incarico.
Se gli esecutori testamentari sono più d’uno devono agire congiuntamente, salvo che il testatore abbia prestabilito i compiti di ciascuno; se però si rende necessario assumere una decisione urgente per la conservazione di un bene o di un diritto ereditario, essi possono agire disgiuntamente. Se gli esecutori testamentari che devono agire congiuntamente non sono d’accordo su un atto del loro ufficio provvede l’A.G. sentiti, se occorre, gli eredi.
Sono previsti casi d’incapacità all’assunzione di questa delicata funzione; infatti non può essere nominato esecutore testamentario, e se nominato la designazione non ha effetto, chi non ha la piena capacità di obbligarsi: si pensi a un minorenne, a un inabilitato, a un interdetto.
L’accettazione della nomina, che non può essere sottoposta a condizione o a termine, deve risultare da dichiarazione fatta nella cancelleria del Tribunale nel cui circondario si è aperta la successione, e dev’essere annotata nel registro delle successioni custodito presso la stessa cancelleria. Lo stesso dicasi dell’eventuale rinuncia all’incarico. Va detto, a riguardo, che chiunque vi abbia interesse può chiedere all’A.G. l’assegnazione di un termine affinché la persona nominata esecutore testamentario faccia la dichiarazione di accettazione; decorso inutilmente il termine la persona si considera aver rinunciato.
L’esecutore testamentario, su istanza di chiunque vi abbia interesse, può essere esonerato dall’incarico dall’A.G. Ciò può avvenire:
- per gravi irregolarità nell’adempimento dei suoi obblighi;
- per inidoneità all’ufficio;
- per aver commesso azione che ne menomi la fiducia.
L’A.G., prima di provvedere sulla domanda di esonero, deve sentire l’esecutore testamentario e può disporre gli opportuni accertamenti.
Le attribuzioni TORNA ALL'INDICE
Come anticipato, e come insito nel nome di questo eventuale collaboratore a futura memoria del testatore, l’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto. A tal fine, salvo contraria volontà del de cuius, l’esecutore testamentario deve amministrare l’asse ereditario, prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il possesso non può durare più di un anno dalla data di accettazione dell’incarico, salvo proroga massima di un ulteriore anno accordata dall’A.G. per motivi di evidente necessità e sentiti gli eredi. Dal momento, però, che l’esecutore testamentario non acquista il possesso dei beni ereditari ipso jure con l’accettazione dell’incarico, dovendo richiederlo all’erede, se egli non è in grado di entrare in possesso di detti beni (per es. per rifiuto dell’erede di procedere alla consegna o per altre contestazioni dallo stesso sollevate), il termine di un anno dalla dichiarazione di accettazione decorre dal momento in cui cessa la causa dell’impedimento (Cass. 27/1/1995, n. 995).
L’esecutore testamentario, e veniamo con ciò alle decisioni che ne caratterizzano l’azione, deve amministrare i beni ereditari usando la diligenza del buon padre di famiglia (vale a dire la diligenza di una persona mediamente zelante) e può compiere tutti gli atti di gestione occorrenti a questo fine. Se però si rende necessario alienare un bene ereditario l’esecutore testamentario deve chiedere l’autorizzazione all’A.G., che provvede sentiti gli eredi (la vendita di un immobile autorizzata senza che gli eredi siano stati sentiti è inefficace nei loro confronti e quindi da essi impugnabile, Cass. 30/8/1991, n. 9289).
Se l’esecutore testamentario non è anche erede o legatario il testatore può disporre che sia lui a procedere alla divisione, fra gli aventi diritto, dei beni ereditari, osservando i criteri contenuti nello stesso testamento; prima di procedervi, però, l’esecutore deve sentire gli eredi, e in ogni caso la divisione da lui proposta non è vincolante per gli eredi se l’A.G., su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua. Un altro “paletto” ai poteri dell’esecutore testamentario è stato collocato da Cass. 15/3/1993, n. 3082; infatti, stando a questa sentenza, il secondo comma dell’art. 631 c.c., che in esplicita deroga al principio generale dettato dal primo comma dello stesso articolo prevede la validità della disposizione testamentaria a titolo particolare con riguardo al delimitato incarico di scegliere, tra più persone, o in una famiglia o categoria, predeterminate dallo stesso testatore, il soggetto beneficiario di una certa attribuzione, dev’essere considerata una norma di stretta interpretazione, non applicabile al di là delle ipotesi in essa specificamente contemplate, per cui non può trovare applicazione nel caso in cui il testatore abbia attribuito all’esecutore testamentario la facoltà di procedere a suo piacimento ad imprecisati e generici cambiamenti delle disposizioni testamentarie già indicate. Il Tribunale di Napoli (sentenza dell’11/6/1985) ha invece considerato valido il testamento col quale era stato conferito all’esecutore testamentario il compito di liquidare l’intero patrimonio ereditario e di distribuirne il ricavato in legati a favore di persone bisognose da lui scelte; in tal caso, infatti, non è stato ritenuto applicabile il primo comma dell’art. 630 c.c., poiché i beneficiari del lascito non erano indeterminabili, ma il secondo comma dello stesso articolo, poiché le “persone bisognose” costituiscono una categoria di soggetti nel cui ambito è consentito al testatore deferire la scelta dei legatari ad un terzo, qual è l’esecutore testamentario.
Se l’erede ne fa richiesta l’esecutore testamentario deve consegnarli i beni ereditari che non sono necessari all’esercizio del suo ufficio. Né può rifiutare la consegna a causa di obbligazioni che debba adempiere conformemente alla volontà del testatore, o di legati sottoposti a condizione o a termine, se l’erede dimostra di averli già soddisfatti od offre idonea garanzia per il loro adempimento.
Qualsiasi atto abbia posto in essere l’esecutore testamentario, non ne risulta pregiudicato il diritto del chiamato a rinunciare all’eredità o ad accettarla con il beneficio d’inventario.
L'apposizione dei sigilli e l'inventario TORNA ALL'INDICE
Un adempimento eventuale dell’esecutore testamentario è chiedere al Tribunale (al Giudice di pace se si tratta di Comune in cui non ha sede il Tribunale) l’apposizione dei sigilli. Diciamo eventuale perché l’apposizione dei sigilli va chiesta se fra i chiamati all’eredità vi sono minori, assenti (ossia persone nei cui confronti sia stata pronunciata dichiarazione di assenza da parte del Tribunale), interdetti o persone giuridiche.
Nel qual caso a questa formalità ne deve seguire un’altra: l’inventario dei beni costituenti l’eredità, redatto a cura del cancelliere del Tribunale, o da un notaio nominato dallo stesso Tribunale o dal de cuius nel testamento. L’inventario viene compilato alla presenza dei chiamati all’eredità o dei loro rappresentanti, o dopo che l’esecutore testamentario li abbia invitati.
Il rendiconto - La rappresentanza processuale
L’esecutore testamentario, al termine della gestione, deve rendere il conto della stessa e in caso di colpa è tenuto al risarcimento del danno verso gli eredi e i legatari (se gli esecutori sono più d’uno rispondono in solido per la gestione condotta in comune). Se la gestione si protrae oltre un anno dalla morte del testatore, l’esecutore deve presentare il rendiconto anche al termine di questo periodo.
Il testatore non può esonerare l’esecutore testamentario dall’obbligo di rendere il conto o dalla responsabilità della gestione.
Ricordiamo infine che, durante il periodo in cui assolve all’incarico, l’esecutore testamentario ha la rappresentanza processuale per le azioni relative all’eredità, nel senso che queste devono essere proposte anche nei suoi confronti. Egli, inoltre, ha facoltà d’intervenire nei giudizi promossi dall’erede e può esercitare le azioni relative all’esercizio del suo ufficio. La morte dell’esecutore testamentario non comporta l’interruzione del processo in cui egli sia stato litisconsorte necessario, né la riassunzione della causa nei confronti dei suoi eredi o del custode dei beni ereditari successivamente nominato a tale incarico (Cass. 5/7/1996, n. 6143).